Valutare l’obbligo di segnalazione operazione sospetta e difendersi da contestazione

Una recente sentenza del Tribunale della capitale ha annullato un decreto sanzionatorio del MEF, fornendo una razionale ed essenziale interpretazione sui presupposti necessari per ritenere necessaria la segnalazione per operazione sospetta in materia di riciclaggio. La vicenda riguarda un Notaio, ma il principio potrebbe essere di sicuro interesse anche per i Commercialisti.

Il Ministero dell’economia e delle finanze, in seguito a processo verbale di contestazione della Guardia di Finanza, aveva irrogato una notevole sanzione art.58 co.2 d.lgs.231/2007 ad un Notaio, per presunta inadempienza degli obblighi di segnalazione di operazioni sospette. Il professionista aveva presentato ricorso al Tribunale della capitale.

La sentenza emessa è di particolare interesse per la chiarezza con la quale il Giudice ha interpretato i presupposti essenziali per ritenere dovuta la segnalazione di operazioni sospette prevista dalla legge.

Nell’occasione, l‘attività ispettiva della guardia di finanza si era focalizzata nell’esame di alcuni atti di compravendita di immobili che, ai sensi dell’art.41 del d.lgs.231/2007 come in vigore sino alle modifiche introdotte dal d.lgs.90/2017, sarebbero stati da segnalare per operazioni sospette in quanto caratterizzati dalla presenza di indicatori di anomalia di cui al D.M. Giustizia 16.4.2010, nello specifico: “prezzo molto elevato rispetto al profilo economico-patrimoniale del cliente o del gruppo di appartenenza in assenza di ragionevoli motivi o di specifiche esigenze“. Nella realtà dei fatti tali trasferimenti erano giustificati da imminenti procedure concorsuali che avrebbero coinvolto, com’è poi accaduto, il patrimonio del cedente.

Nel contratto preliminare stipulato suscitava, inoltre, sospetto la circostanza che la promissaria acquirente fosse una società partecipata al novantanove percento da un ente di diritto anglosassone. Per tale presunta violazione il MEF aveva notificato la sanzione massima prevista, nella nuova versione dell’articolo, in euro 300.000,00.

Il professionista si era giustificato per non aver effettuato la segnalazione asserendo che tali rogiti gli erano parsi come degli evidenti atti di trasferimento effettuati all’interno allo stesso nucleo familiare e aveva affermato, a sua difesa, di aver adempiuto, documentandole, a tutte le opportune verifiche senza avere presentimento di alcuna ipotesi di anomalia.

Il Ministero, nel decreto, aveva ribattuto che, al verificarsi di elementi di anomalia che rispondono completamente agli indicatori predisposti a presidio della normativa antiriciclaggio, l’omissione della segnalazione non poteva essere giustificata dall’eccezione che tali operazioni “fossero apparse” al professionista come normali stipule di atti di trasferimento relativi a immobili all’interno dalla famiglia.

Secondo il MEF il considerevole impianto accusatorio non consentiva la possibilità di ammettere la richiesta di annullamento dell’ordinanza ingiunzione per insufficienza di prove sulla responsabilità dell’opponente. Inoltre, la reiterazione, la sistematicità e la gravità dell’omissione contestata rendevano impossibile la riduzione della sanzione inflitta, estremamente cospicua.

Il Giudice tuttavia riteneva, di sua iniziativa e non con incipit della difesa, con sua “illuminata” intuizione, che prima di addentrarsi ad analizzare la sussistenza e applicabilità al caso concreto di menzionati indicatori, fosse necessario accertare se le operazioni a cui erano riferibili potevano rappresentare, o meno, atti di riciclaggio ai sensi dell’art.2 co.4 del d.lgs.231/2007;  presupposto dell’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette è rappresentato, infatti, dall’eventualità che l’operazione da segnalare possa costituire un atto di riciclaggio ai sensi di legge.

Il Giudice, molto chiaramente, ha riposto l’attenzione sulla fattispecie del reato di riciclaggio, previsto espressamente dalla legge.

L’operazione può celare un atto di riciclaggio e va per questo segnalata dove se ne identifichi il sospetto, in quanto anticipata da un’attività criminosa, quindi di rilevanza penale, dalla quale sia derivata la disponibilità del diritto o del bene cui l’operazione è correlata.

Dove, invece, il fatto non sia caratterizzato da un’illiceità penale presupposta, ma sia solo connotato da aspetti rilevanti unicamente sul piano della validità o efficacia civile, non insorge alcun obbligo di SOS per il semplice fatto che non si è in presenza di alcun sospetto atto di riciclaggio da contrastare.

Pertanto, ad avviso del Tribunale,  gli operanti non avevano effettuato questa analisi preliminare o non avevano focalizzato dove il fenomeno di riciclaggio fosse identificabile; avevano fondato il loro convincimento solo sulla circostanza che le operazioni  “configuravano [… ] un’interposizione fittizia di persona, e cioè una tipica simulazione relativa”, poste in essere da un socio occulto, il cui intento era quello “di sottrarre […] i propri beni all’azione dei creditori (ivi compreso l’Erario) in vista anche di imminenti procedure concorsuali …

I beni in oggetto non avevano una provenienza delittuosa, presupposto del reato di riciclaggio, ma avevano semmai ricevuto tale destinazione.

L‘obbligo di segnalazione, a parere del Giudice, non sussisteva per le operazioni in esame: il professionista non aveva quindi commesso nessuna infrazione alla normativa antiriciclaggio e la sanzione notificata dal MEF, essendo completamente priva di fondamento, era annullata. Quanto stabilito potrebbe avere valenza anche ai fini della difesa in contenzioni che abbiano come protagonisti i commercialisti, in quanto spesso i militari fanno esclusivo riferimento alle linee guida del consiglio nazionale, che si concretizzano in sostanza nella necessità di compilare schede comprovanti l’avvenuta “adeguata verifica”, tra l’altro in continua evoluzione.

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