Sanzioni antiriciclaggio e decadenza azione sanzionatoria: il Ministero paga le spese di giudizio

In tema di normativa antiriciclaggio, nei confronti dei professionisti come commercialisti, consulenti del lavoro e notai, le violazioni comunemente contestate attengono presunte inadempienze riguardanti l’adeguata verifica della clientela, l’obbligo di conservazione dei relativi documenti e la mancata segnalazione di operazione sospette. Le prime e le seconde violazioni, previste rispettivamente dagli articoli 56 e 57 del d.lgs.231/2007 s.m.i., nei casi più gravi che non rientrano nella fattispecie “base” (cui si applica la sanzione pecuniaria nella misura di € 2.000), sono punite con sanzioni antiriciclaggio variabili da 2.500,00 a 50.000,00 euro. Si tratta di violazioni “qualificate” in ragione della presenza, alternativa o cumulativa, degli stessi caratteri “ripetuto”, “sistematico”, “plurimo” e “grave” delle violazioni, come previsti anche per la più grave omessa segnalazione di operazioni sospette dall’art.58 co.2.

Il MEF, con una circolare, ha regolato le modalità cui devono attenersi i funzionari preposti per la determinazione dalla sanzione all’interno del range indicato, fissando intervalli (€ 2.500 – € 15.000 / € 15.000 – € 30.000 / € 30.000 – € 50.000) che individuano la sanzione da applicare; essi non hanno pari ampiezza perché sono stati attribuiti valori diversi agli elementi che li determinano; rimane in ogni caso la valutazione estremamente discrezionale dell’ufficio addetto.

Nel caso di presunta omessa segnalazione di operazioni sospette di carattere grave, l’art.58 co.2 prevede infine che la sanzione si applichi da 30.000,00 a 300.000,00 euro; ricorrendo tale fattispecie in contemporanea con quelle precedenti, qualora questa sia dovuta a carenza di adeguata verifica o conservazione, all’inosservanza degli obblighi di segnalazione di operazione sospetta, di adeguata verifica e di conservazione si applicano unicamente le sanzioni previste dall’art.58.

In tutti i casi, solo l’autorità giudiziaria, in seguito a ricorso, potrà eventualmente determinare quello che ritiene più opportuno si debba applicare al caso concreto, incluso l’auspicato annullamento della sanzione irrogata.

In tale contesto si colloca una recente vicenda che ha coinvolto un commercialista, al quale era stata irrogata dal Ministero un’ingente sanzione per omessa segnalazione di operazioni sospette punita ai sensi dell’art.58 co.2 d.lgs.231/2007.

E’ stata la Corte d’Appello di Roma ad accogliere a pieno le ragioni del ricorrente.

Senza entrare nel merito della vicenda, ciò che interessa in questa sede è la peculiarità della decisione che la CdA ha posto a fondamento della propria decisione.

Il primo giudice aveva respinto le eccezioni di decadenza e di prescrizione e, nel merito, aveva ritenuto che le operazioni non segnalate, data l’ingente movimentazione di denaro, fossero oggettivamente sospette.

Il Tribunale della capitale, tuttavia, aveva già ridimensionato notevolmente le pretese del Ministero, riqualificando la violazione e stabilendo la sanzione di 3.000,00 euro, come previsto dall’art.58 c.1 del d.lgs.231/2007, invece di quella prevista dal comma 2 dello stesso articolo.

Il Ministero aveva allora proposto appello, chiedendo l’applicazione del massimo della sanzione, pari a 300.000,00 euro come previsto dall’art.58 co.2 d.lgs.231/2007, poiché contestava l’elevato grado di responsabilità del presunto colpevole e l’ingente mole dei valori movimentati che confermavano, nel complesso, la gravità della violazione, la quale, pertanto, avrebbe meritato il massimo della sanzione.

L’appellato ne ha di conseguenza richiesto il rigetto nel merito per le motivazioni già espresse in primo grado e in via subordinata, con appello incidentale, ha chiesto la correzione della sentenza nel senso a sé completamente favorevole, con annullamento al tutto dell’opposto decreto e relativa condanna del Ministero alle spese concernenti i due gradi di giudizio, in precedenza compensate.

Il caso riveste particolare interesse in quanto si occupa dell’intervenuta decadenza del potere di emettere l’ordinanza-ingiunzione, motivo foriero talvolta di soddisfazione per i soggetti sanzionati.

Il professionista sosteneva che l’accertamento della violazione si fosse perfezionato dalla data della sua escussione a sommarie informazioni e di acquisizione documentale presso il suo studio, o al più, quando, successivamente, era stata acquisita altra documentazione sempre presso il suo studio professionale o, in ultima ipotesi, dalla data di autorizzazione dell’A.G. all’utilizzo a fini amministrativi dei dati e documenti in tal modo acquisiti.

Tutti elementi dai quali emergevano con chiarezza le contestazioni poi formalmente mosse al professionista nel processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, notificato solo oltre il termine di novanta giorni previsto dall’art.14 della L.689/1981 per la decadenza.

Poiché tutti gli accertamenti svolti in epoca successiva riguardavano fatti del tutto diversi da quelli poi a lui contestati, la CdA ha ritenuto che le “verifiche successive non potevano in alcun modo essere qualificate come prodromiche alla contestazione mossa al professionista, avendo avuto ad oggetto fatti e comportamenti diversi dalle condotte illecite ascritte a quest’ultimo, che la controparte ha tentato surrettiziamente di introdurre […]. Tutte le successive attività d’indagine e di accertamento concernevano fatti differenti dall’omessa segnalazione delle operazioni sospette ad opera del commercialista”.

Se è vero che l’obbligo di segnalazione è svincolato dalla consapevolezza dell’illecito, ma è connesso al solo sospetto secondo la normale diligenza professionale e a specifici indici, pur vero era che non rientravano nell’accertamento dell’illecito da segnalare le attività condotte dal militari, avvenute successivamente (oltre il termine dei novanta giorni), volte alla repressione di illeciti penali ascrivibili ai soggetti la cui operatività, di per sé, doveva ingenerare sospetto e quindi far scattare l’obbligo della segnalazione.

La Corte non ha reputato necessaria l’acquisizione di ulteriori atti per avere una visione più completa delle condotte poi oggetto di contestazione.

Il termine di novanta giorni decorreva dalla ricezione del nulla osta dell’autorità giudiziaria all’utilizzo della documentazione già acquisita ai fini del procedimento amministrativo sanzionatorio; da quella data andava fatto decorrere il termine di decadenza di novanta giorni, in quanto non erano state allegate ulteriori attività di accertamento rivolte allo specifico illecito amministrativo dell’omessa segnalazione delle operazioni sospette.

Con il nulla osta dell’autorità giudiziaria, viene meno ogni esigenza di segretezza degli atti, che diventano pienamente spendibili per la repressione dell’illecito accertato.

Per tali motivi, accogliendo l’appello incidentale e in riforma della sentenza impugnata, la CdA ha annullato il decreto del Ministero e ha condannato quest’ultimo al risarcimento delle spese dei due gradi di giudizio. 

I ricorsi in questa materia, di competenza del Tribunale della capitale, sono sottoposti a tempi stringenti (trenta giorni dalla notifica del decreto sanzionatorio) e necessitano di molto studio relativamente al singolo caso per essere affrontati al meglio; essere tempestivi risulta perciò essenziale già dal primo accesso avvenuto, al fine di evitare dichiarazioni rese che spesso si rivelano compromettenti per il buon esito della vertenza.

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